Le rinnovabili fanno male a economia e occupazione
Il racconto del mito
Dice il mito che una transizione eccessivamente rapida e profonda verso le rinnovabili, come quella che sarebbe necessaria per rispettare gli impegni climatici e raggiungere l’obiettivo net-zero entro metà del secolo, produrrebbe uno spiazzamento dell’industria italiana, riducendo al competitività delle nostre imprese con impatti negativi sulla economia e sulla occupazione.
Il perché è falso
In realtà la maggior parte delle analisi e degli studi esistenti afferma esattamente il contrario, ossia che un aumento anche rapido delle fonti rinnovabili a scapito dei combustibili fossili produrrebbe nel complesso importanti benefici sia economici che occupazionali. Questo vale ancora di più per un Paese come l’Italia, fortemente dipendente dalle importazioni di combustibili fossili, con flussi economici ingenti verso l’estero.
Cosa vogliano dire questi dati
Il mito nasconde la – legittima, se vogliamo – paura del cambiamento. Una transizione tecnologica come quella che ci attende sulla strada verso il net-zero avrà certamente impatti rilevanti sul tessuto produttivo e sulle famiglie. Ma oltre ai vantaggi di natura ambientale, questa produrrà anche notevoli benefici economici e sociali. Naturalmente alcune, poche in realtà, realtà produttive saranno necessariamente svantaggiate ma nel complesso il bilancio sarà in ogni caso positivo.
PER APPROFONDIRE
Secondo la ricostruzione svolta dall’Agenzia Internazionale dell’Energia, il settore energetico nel 2023 avrebbe dato lavoro a quasi 68 milioni di persone, il 3% della forza lavoro totale. Si tratta di una analisi ampia, che include ad esempio tutte le attività della filiera oli&gas (dalla ricerca e perforazione fino alla distribuzione finale), quelle della realizzazione e gestione delle reti di trasmissione e degli impianti di generazione elettrica, e della fabbricazione e manutenzione di veicoli e altre apparecchiature legate all’efficienza energetica (come caldaie, pompe di calore, etc.). Nel 2021, i “lavoratori energetici” occupati nell’energia pulita (ossia coloro che si occupano di fonti rinnovabili, efficientamento energetico, realizzazione di veicoli a basse emissioni, etc.) superano per la prima volta quelli occupati nella filiera dei combustibili fossili. Da allora, lo scarto tra lavoratori nell’energia pulita e nell’energia da fonti fossili è in costante crescita. Nel 2023, più di 1,5 milioni di persone hanno trovato lavoro nel settore dell’energia pulita, di cui uno su tre nel settore del fotovoltaico.
Fonti
Le fonti rinnovabili sono in forte crescita nel mondo oramai da diversi anni. Gli investimenti in questa tecnologia, nel comparto della generazione elettrica, hanno oramai abbondantemente superato quelli in fossili e nucleare. Al pari degli investimenti è cresciuto anche il numero di occupati, quasi raddoppiato in appena un decennio, arrivando nel 2023 a 16,2 milioni di persone. L’aumento degli ultimi anni è stato trainato in primis dalla crescita del fotovoltaico, che nel 2023 da solo ha dato lavoro a più di 7 milioni di persone, seguito dalle bioenergie (per lo più per la produzione di calore), dall’idroelettrico e dall’eolico.
Fonti
Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (il World Energy Outlook 2024), se il mondo realizzasse effettivamente la transizione energetica allineandosi all’obiettivo della neutralità climatica al 2050, le opportunità per l’economia e l’occupazione sarebbero molto positive. Dagli attuali quasi 68 milioni di “lavoratori energetici” si passerebbe a 83 milioni nel 2030. Di questi circa l’80% sarebbe riconducibile alle energie pulite. Il comparto elettrico sarebbe trainante, con circa 9 milioni di nuovi occupati nella generazione e altri 4 nella rete e negli accumuli. Naturalmente alcuni comparti avranno più vantaggi di altri e alcuni potranno subire delle contrazioni, ma il bilancio nel complesso sarà comunque positivo: nell’analisi della IEA, da qui al 2030 quasi 7 milioni di occupati dei settori oil&gas e del carbone dovranno essere ricollocati. Per trarre i massimi benefici dalla transizione sarà necessario mettere in campo misure per formare nuove competenze e aggiornare quelle dei lavoratori di settori che subiranno una riduzione delle attività, a cominciare dalle imprese dell’oil&gas.
Fonti
Per avviarci sulla via della transizione energetica e allinearci agli obiettivi europei 2030 e 2050 per la neutralità climatica, in Italia dovremmo imprimere una enorme accelerazione allo sviluppo delle rinnovabili, a cominciare da quelle elettriche che dovrebbero passare, principalmente grazie a nuovi impianti eolici e fotovoltaici, da circa 1.000 MW/anno di nuove installazioni come media degli ultimi anni (nel 2022 questo valore dovrebbe essere cresciuto arrivando a 2.000-3.000 MW), a oltre 10.000 MW/anno da qui al 2030. Se l’impresa italiana non è pronta, non rischiamo di danneggiare l’economia e l’occupazione? Secondo uno studio presentato nel febbraio 2023 da Elettricità Futura, l’associazione confindustriale delle imprese della generazione elettrica, se raggiungessimo gli obiettivi che ci siamo posti al 2030 potremmo avere oltre 360 miliardi di euro di ricadute economiche positive (in termini di valore aggiunto per filiera e indotto, pari a circa il 2% del Pil, e 540 mila nuovi posti di lavoro, che si aggiungerebbero agli attuali 120 mila della filiera esistente. Va tenuto conto che ogni passo in avanti verso le rinnovabili ci consente di ridurre la nostra dipendenza energetica dalle importazioni di combustibili fossili, filiera i cui proventi vanno in larghissima parte all’estero. Questo anche perché esiste già oggi una filiera nazionale delle fonti rinnovabili: secondo uno studio di Intesa San Paolo del 2021, l’Italia è il sesto Paese per esportazioni di tecnologie rinnovabili e oramai da diversi anni presenta un saldo commerciale ampiamente positivo.
Fonti