Le rinnovabili ci fanno restare al buio

Il racconto del mito

Dice il mito che un sistema di generazione elettrica basato principalmente sulle fonti rinnovabili sia incapace di soddisfare il fabbisogno di energia elettrica di un Paese esponendo al rischio di rimanere senza elettricità nel momento del bisogno. Questo essenzialmente a causa del carattere di “non programmabilità” che caratterizza alcune di queste tecnologie: in altri termini, il sole non splende e il vento non soffia necessariamente quando abbiamo bisogno di energia.

Il perché è falso

Diversi Paesi già oggi riescono a produrre tutta o quasi l’energia elettrica di cui hanno bisogno da fonti rinnovabili, anche se nessuno lo fa unicamente con eolico e fotovoltaico, bensì sfruttando anche altre fonti rinnovabili programmabili a cominciare dall’idroelettrico. Molti studi dimostrano oramai come sia possibile avvicinarsi al 100% di elettricità da rinnovabili con quote rilevanti di fonti non programmabili. Intanto cresce il numero di Paesi che si sono dati questo obiettivo da qui ai prossimi anni.

Cosa si nasconde dietro questo falso mito

Diversi elementi nutrono questo falso mito. Da un lato c’è la diffidenza verso una soluzione che si considera troppo nuova e di cui forse non si sa abbastanza. Dall’altro, un certo fascino per le tecnologie tradizionali e “di peso”, con l’idea che pannelli fotovoltaici, magari di piccola taglia e distribuiti, e pale eoliche non possano tecnicamente essere le colonne portanti di un sistema di generazione elettrica di un grande Paese, diversamente dai grandi impianti fossili o nucleari.

PER APPROFONDIRE

Il timore che un sistema di generazione elettrico 100% o quasi rinnovabile possa lasciarci al buio deriva in gran parte dal fatto che, quando oggi parliamo di rinnovabili, pensiamo automaticamente a eolico e fotovoltaico. Essendo entrambe queste tecnologie “non programmabili” (ma non “imprevedibili” come erroneamente a volte afferma qualcuno), la capacità di produrre o meno energia elettrica dipende in ogni istante dalla presenza o meno di vento e sole.

Innanzitutto, dobbiamo ricordare che esistono anche fonti rinnovabili “programmabili”, come quelle alimentate da biomasse o da calore geotermico ma, soprattutto, come l’idroelettrico che è ancora oggi la più importante fonte rinnovabile per produrre elettricità, anche nel nostro Paese. Anche immaginando per queste tecnologie prospettive di crescita molto limitate – vuoi perché l’approvvigionamento di biomasse, ad esempio, è critico o vuoi perché le possibilità di realizzare nuovi bacini idroelettrici sono molto limitate – anche nei prossimi decenni insieme potranno comunque contribuire a circa un quinto della generazione elettrica nazionale. Nello specifico, secondo la Roadmap per la neutralità climatica dell’Italia, anche al 2045 le altre rinnovabili contribuiranno alla generazione elettrica ancora per il 21%. Si tratta di un contributo importante non tanto in termini numerici, quanto piuttosto perché consentirebbe di coprire almeno una parte dei possibili “vuoti produttivi” causati dalle rinnovabili non programmabili.

Eolico e fotovoltaico saranno le due fonti rinnovabili protagoniste della transizione energetica nei prossimi anni, perché sono le tecnologie di generazione più economiche in assoluto e faranno la parte del leone nel mix energetico di un domani anche molto prossimo. Nel caso dell’Italia, arriveranno a soddisfare il 62% della generazione elettrica nazionale nel 2030 e il 76% nel 2045.

È vero che eolico e fotovoltaico sono due fonti “non programmabili” (ma non per questo sono del tutto “imprevedibili” come erroneamente a volte viene detto), e che dunque la loro capacità di produrre o meno energia elettrica dipende in ogni istante dalla presenza o meno di vento e sole. Ma la buona notizia è che si tratta di due tecnologie in realtà molto complementari tra loro, con la prima che raggiunge la massima produzione nei mesi invernali e la seconda in quelli. Per questo sarà necessario, oltre a mantenere un ruolo quanto più possibile rilevante delle rinnovabili programmabili, anche puntare a un sistema in cui la presenza sia di eolico sia di fotovoltaico sia più bilanciata possibile, in questo modo dando non solo maggiore sicurezza intrinseca al sistema ma anche riducendo il ricorso ad eventuali accumuli, in particolare a quelli – più difficili e costosi – stagionali di medio-lungo termine.

Quando si pensa a un sistema di generazione di elettricità tutto da fonti rinnovabili spesso si immagina un modello per lo più chiuso che consentirà di raggiungere il mito dell’autosufficienza energetica, specie per un Paese come l’Italia non certo ricco di combustibili fossili. In realtà non è detto che questa sia la strada più sicura ed efficace per liberarsi dai combustibili fossili. La stessa Unione Europea, ad esempio, punta ad un sistema sempre più integrato, in grado di bilanciare con maggiore efficacia la sovrabbondanza o la scarsità di risorse rinnovabili nelle diverse aree d’Europa e sfruttare, così, al meglio i potenziali regionali. Al 2030 a livello europeo l’interconnessione dei mercati elettrici dovrà raggiungere il 15%, e già 15 Paesi nel 2020 hanno superato questo obiettivo. L’Italia si attesta intorno al 9%, la Francia all’8%, la Germania all’11%.

Da un lato, maggiore è numero e la tipologia di impianti connessi in rete e meglio si riesce a gestire l’aleatorietà della produzione non programmabile. Dall’altro canto, tecnologie diverse possono risultare abbastanza complementari e in qualche modo compensarsi nel corso dei mesi, a cominciare proprio da eolico e fotovoltaico, come abbiamo già mostrato nel precedente approfondimento.

In questo modo, attraverso la realizzazione di una estesa ed efficiente rete europea si andrebbero a connettere, ad esempio, i grandi parchi eolici marini del nord Europa, che in alcuni casi presentano già oggi surplus di produzione a scala locale nei mesi invernali, con gli impianti fotovoltaici dei Paesi meridionali, come il nostro, in cui la produttività di questa tecnologia è molto più alta e in particolare in estate sono facilmente prevedibili eccessi di produzione a scala locale. Ma si potrebbe andare anche oltre, ad esempio immaginando di potersi collegare ad aree desertiche del nord Africa che potrebbero diventare importanti poli di generazione di elettricità dal sole (con fotovoltaico ma anche con altri sistemi come il solare a concentrazione che a quelle latitudini potrebbero essere molto competitivi).

Siamo abituati a pensare al sistema di generazione elettrica come del tutto flessibile, in balia della domanda di famiglie, imprese, Pubbliche Amministrazioni etc. In realtà, anche in un modello dominato dai combustibili fossili, le cose non stanno proprio così. Ad esempio, in Italia sono centinaia le imprese, di dimensioni medio-grandi, che sono considerate cd. interrompibili, ossia a cui il gestore della rete in determinate circostanze, certamente di carattere eccezionale come un guasto importante alla rete elettrica o il fermo imprevisto di impianti di generazione, può sospendere la fornitura di energia elettrica. Più banalmente, proprio per rispondere alla rigidità (economica) degli impianti di generazione fossile e farli lavorare il più costantemente possibile (a cominciare dal carbone, ma ancor di più nel caso del nucleare), abbiamo imparato negli anni ad accendere gli elettrodomestici nelle ore notturne, incentivati in questo da tariffe particolarmente vantaggiose.

Produzione e consumo di energia elettrica in qualche modo si parlano e possono venirsi incontro, anzi lo hanno sempre fatto. Con la rivoluzione delle rinnovabili, più saremo in grado di modulare la domanda in modo da seguire quanto più possibile la produzione, più saremo capaci di costruire un sistema tecnicamente ed economicamente efficiente, riducendo il numero di impianti, la necessità di accumulo e di nuove infrastrutture di rete. In alcuni casi ribaltando alcune pratiche consolidate, come quelle di avviare la lavatrice o la lavastoviglie prima di coricarsi. Cosa che sicuramente già fa il milione di famiglie che in Italia ha un impianto fotovoltaico domestico e sta già adeguando i propri comportamenti in funzione della produzione istantanea dello stesso, per trarne i maggiori benefici innanzitutto economici. E oggi, rispetto al passato, con le nuove tecnologie e l’automazione delle abitazioni (e non solo) abbiamo un importante alleato in più, arrivando addirittura a far parlare tra loro gli impianti di generazione con elettrodomestici e altre apparecchiature elettroniche, riuscendo a coordinare al meglio produzione e consumo quasi senza bisogno del nostro intervento.

Inevitabilmente un sistema di generazione ad alta penetrazione di tecnologie rinnovabili non programmabili porterà in alcuni periodi dell’anno a produrre molta più elettricità di quanta se ne consuma, elettricità che deve essere in qualche modo raccolta e conservata per quei momenti in cui, viceversa, la produzione da fonti rinnovabili non è sufficiente (perché c’è poco vento e poca luce). Ovviamente più saremo riusciti a lavorare bene sugli altri “ingredienti” di un sistema 100% rinnovabile, meno avremo bisogno di accumulare elettricità.

Per questo, oltre a mettere a terra nuovi impianti di generazione, dovremo realizzare un numero adeguato di sistemi di accumulo. Ma quanti? E quali?

Per rispondere al primo punto della domanda possiamo richiamare un recente studio di Terna e Snam sugli scenari energetici nazionali. Nella ipotesi di centrare come Paese gli obiettivi del nuovo pacchetto Europeo “Fit for 55”, al 2030 dovremmo arrivare ad almeno il 75% della produzione nazionale da fonti rinnovabili. Per fare in modo di stabilizzare il sistema di generazione senza buttare via energia, secondo lo studio dovremmo realizzare circa 15 GW di nuovi sistemi di accumulo, di cui 4 di piccola taglia e 11 c.d. utility scale, che si andrebbero ad aggiungere ai quasi 8 attuali rappresentati da serbatoio idroelettrici. Questo dovrebbe garantire una capacità di stoccaggio complessiva di quasi 150 GWh, sufficiente ad assorbire i picchi di produzione nelle giornate molto assolate o molto ventose.

Per quanto riguarda le tecnologie, quelle di cui più si sente parlare sono certamente quelle che sfruttano il cd. potenziale elettrochimico, come le classiche batterie: di questi sistemi conosciamo bene il funzionamento ed i potenziali su larga scala, e l’ulteriore sviluppo tecnologico si sta concentrando su aspetti ancora non pienamente risolti, come la crescente domanda di materie prime rare, le opportunità di economia circolare e più in generale l’abbattimento dei costi. Ma oltre alle classiche batterie chimiche, esistono e si stanno sviluppando anche altri modi per accumulare energia elettrica, con enormi potenziali di diffusione e minori criticità rispetto alle classiche batterie, ad esempio dal punto di vista della disponibilità di materie prime critiche. Tra quelli maggiormente consolidati ci sono certamente i bacini idroelettrici, che in Italia hanno sostenuto praticamente da soli la prima fase di industrializzazione fino agli anni ’60 e che ancora oggi fanno numeri importanti, anche se risentono degli effetti della carenza idrica indotta dal cambiamento climatico. Ma ci sono anche sistemi più innovativi e molto promettenti, come ad esempio tecnologie che sfruttano i cicli di compressione e decompressione di un gas come la CO2, oppure quelle che utilizzano semplicemente la forza di gravità, sollevando pesi con l’elettricità in eccesso e restituendola alla rete nel momento del bisogno semplicemente facendoli tornare a terra mentre sono collegati a una dinamo.

  • Progetto Innovenergy – Batteria al sale 

Esistono già oggi diversi Paesi nel mondo che riescono a produrre tutta o quasi l’energia elettrica tramite fonti rinnovabili. Da noi in Europa l’Islanda e la Norvegia sono praticamente 100% rinnovabili, ma anche in Danimarca arrivano all’84% senza la presenza di idroelettrico e con l’eolico come prima fonte energetica nazionale. Nel continente americano il Paraguay è 100% rinnovabile, il Costa Rica è arrivato a produrre circa il 98% della propria elettricità da fonti rinnovabili, la Groenlandia a nord, ma anche il Brasile e il Canada, due grandi Stati del continente, sono attorno al 70-80% di elettricità verde. Ma anche nel continente africano vi sono diversi casi di Paesi autonomi nella generazione elettrica grazie alle rinnovabili, come nel caso della Repubblica Democratica del Congo, della Namibia, dell’Etiopia o della Repubblica Centrale Africana.

Per poter centrare l’obiettivo della neutralità climatica entro la metà del secolo in corso è necessario che il sistema della generazione elettrica sia a zero emissioni con un certo anticipo: secondo la Roadmap mondiale per la neutralità proposta dall’Agenzia Internazionale dell’Energia, dovremmo arrivare già al 2035 a produrre tutta l’elettricità che ci serve a zero emissioni. Diversi Paesi si stanno, quindi, adeguando a questo indirizzo. Con l’aggiornamento dei propri impegni nell’ambito dell’Accordo di Parigi, quattro Paesi dell’Unione europea – Portogallo, Austria, Danimarca e Olanda – entro il 2030 arriveranno a produrre praticamente tutta l’elettricità di cui hanno bisogno da fonti rinnovabili. La Germania ha recentemente rivisto i propri obiettivi climatici ed energetici e fissato nuovi target per la generazione elettrica con l’80% di rinnovabili al 2030 e quasi il 100% nel 2035. Ma al di fuori dall’Unione Europea ad esempio anche USA, Canada e Regno Unito hanno fissato il 2035 come data per raggiungere la decarbonizzazione del comparto di generazione elettrica.

Una volta gestiti i problemi connessi alla non programmabilità di alcune fonti, un sistema di generazione elettrica rinnovabile presenta diverse caratteristiche che lo rendono potenzialmente più sicuro rispetto a sistemi tradizionali, dall’elevato numero di impianti (già oggi sul territorio nazionale sono presenti oltre un milione di impianti alimentati con fonti rinnovabili, molti dei quali di piccola taglia), alla relativa semplicità delle tecnologie utilizzate, al fatto di essere estremamente diffusi sul territorio e spesso direttamente collegati alle utenze finali, come nel caso di impianti domestici. Ma il principale elemento a favore della sicurezza, come ci dimostrano anche gli eventi più recenti connessi alla crisi energetica ancora in corso, è probabilmente proprio quello di non dipendere da un flusso continuo di importazione di combustibili e, al contrario, sfruttare risorse non solo pulite e in grado di contrastare il cambiamento climatico (altro fattore di rischio affatto trascurabile!) ma disponibili nelle quantità necessarie e in modo accessibile a tutti all’interno del territorio nazionale. Ma i sistemi di generazione tradizionali, oltre ai rischi connessi all’approvvigionamento di combustibili o a possibili incidenti (che viste le taglie in gioco possono avere impatti ovviamente significativi), possono esporre anche ad altri rischi meno attesi. Come ad esempio nel caso del nucleare francese che, nel pieno del conflitto bellico in Europa, a causa di un mix di fattori (come guasti, fermo attività per manutenzione, etc.) tra cui una imprevista siccità che ha impedito l’adeguato raffreddamento di alcuni reattori (fattore critico in questo tipo di impianti e presumibilmente destinato a peggiorare con l’aumento delle temperature), tra gennaio e ottobre 2022, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ha perso circa il 24% della produzione, pari a 70 miliardi di kWh.

Qual’è lo stato delle rinnovabili in Italia?

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